Il bambino è in grado di comunicare
in un’età precoce. Ciò in quanto è un essere socialmente responsivo e attivo. La sua comunicazione è soprattutto
di tipo cinesico. Ciò vuol dire che
egli comunica prevalentemente con i gesti. La piena maturazione della capacità
comunicativa si avrà con l’acquisizione del linguaggio.
Nella dotazione di partenza del
neonato sono importanti le competenze
percettive. Esse gli consentono di acquisire informazioni dall’ambiente e
di rimanere in contatto con esso. Per il neonato è particolarmente rilevante la
percezione fetale della voce materna e la percezione fonetica della lingua.
Nell’ambiente uterino, il feto è raggiunto da rumori provenienti dall’esterno e dall’interno
dell’utero. È stato dimostrato che la voce della madre arriva al feto con
livelli d’intensità più alti rispetto agli altri suoni. Per questo motivo i
neonati preferiscono la voce della madre rispetto alle voci di estranei. I
rumori che riproducono quelli fetali hanno l’effetto di tranquillizzare il
bambino.
Gli scienziati hanno anche studiato
la capacità dei neonati di distinguere i segnali
verbali. I neonati possiedono una predisposizione innata nel distinguere i
suoni. Ad esempio, riescono a distinguere le occlusive sorde da quelle sonore.
Tale abilità è indipendente dalla lingua madre. In seguito si affina,
amplificandosi in alcuni aspetti e riducendosi in altri.
La produzione di suoni dipende
dall’evoluzione dell’apparato fonetico
e dallo sviluppo fonetico. Subito dopo la nascita, l’apparato vocale del
neonato gli consente una ridotta capacità di espirazione, se non a bocca
aperta. L’evoluzione di tale apparato è comunque rapida, tanto che già a 5-6
mesi viene raggiunto un buon livello.
Nel primo mese di vita il bambino produce suoni di natura vegetativa e
collegati al pianto. Il neonato non
è consapevole di rivolgere, con il pianto, un segnale comunicativo. Esistono
tre tipi di pianto: quello di fame, di dolore e di irritazione. Quest’ultimo è
orientato alla richiesta di attenzioni. Per tale motivo assume il carattere
della pre-intenzionalità.
A partire dai due mesi di vita iniziano a svilupparsi le vocalizzazioni di non
pianto, ossia i suoni di benessere e le risate. Essi vengono emessi quando il
bambino è a suo agio e si trova in contatto con la madre.
A 4-6 mesi il bambino stabilizza i suoni delle vocali. Egli può anche
produrre le prime consonanti, ponendo in essere la cosiddetta lallazione marginale. Il bambino si
inserisce nelle conversazioni dei genitori, come se rispondesse con dei
vocalizzi.
A sei-sette mesi compare la lallazione
canonica. Il bambino è in grado di produrre sequenze consonante-vocale.
Quando la sequenza viene ripetuta più volte si ha la lallazione reduplicata. I
bambini pronunciano tale sequenze per il piacere di riprodurre e riascoltare il
suono della propria voce.
A 10-12 mesi compare la lallazione
variata, in cui il bambino riesce ad utilizzare consonanti diverse
accoppiate a vocali uguali o vocali diverse accoppiate a consonanti uguali.
Questa fase segna l’inizio della produzione linguistica vera a propria.
Iniziano a nascere le prime proto-parole con un obiettivo comunicativo
specifico. Lo sviluppo fonologico inizia a combinarsi con quello sintattico e
grammaticale.
La competenza sociale del
bambino è importante per lo sviluppo delle sue capacità comunicative. Il neonato,
fin dalla nascita, è predisposto a porre attenzione agli stimoli di tipo
sociale. Egli pone attenzione, in particolare, al volto umano.
Un altro fattore che sostiene le
competenze sociali del bambino è il sorriso
sociale. Il bambino, subito dopo la nascita, è in grado di ridere soltanto
durante il sonno (sorriso endogeno). A due mesi circa, il bambino è in grado di
sorridere in risposta ad una lieve stimolazione (sorriso esogeno).
Successivamente si verifica il cd. sorriso sociale, in cui il bambino sorride
al volto della madre.
Fino a sei mesi di vita il bambino è
in grado di porre attenzione ad un solo elemento della realtà della volta. A
sei mesi circa il bambino è in grado di distribuire l’attenzione tra l’adulto e
l’oggetto. Tale processo è importante perché conduce alla condivisione dell’attenzione. Attraverso essa il bambino e l’adulto
pongono la loro attenzione verso un elemento comune della realtà.